Non è uno scherzo


Da una decina di giorni Didi, l'applicazione per chiamare i taxi scaricabile sul cellulare, è disponibile in inglese. Dopo mesi di tortura, mal di testa e smadonnamenti ogni volta che cercavo di chiamare un taxi lottando con indirizzi di destinazione da trovare in cinese, conversazioni incomprensibili con il tassista di turno che non capiva  mai né dove venirmi a prendere, né dove recapitarmi, adesso in due minuti il tutto è risolto. E' inoltre possibile inviare al tassista messaggi in inglese che un magico traduttore istantaneo trasformerà nei soliti caratteri geroglifici.
E così adesso che un aspetto della vita quotidiana qui a Shanghai mi si è notevolmente semplificato, mi sembra ovvio che sia arrivato il momento di partire di nuovo.
No, non è uno scherzo, ho ripetuto ad amici ma soprattutto a me stessa quando, qualche mese fa, abbiamo capito che, nostro malgrado, anche questa volta non sarebbe durata a lungo e che sarebbe stato opportuno prendere in mano la situazione prima di lasciare che l'azienda dei "trucchi" ci imponesse nuove destinazioni. E così l'abbiamo lasciata, grati per l'occasione che ci ha dato, ormai sette anni fa, di girare il mondo ma molto meno per avere ultimamente sottoposto la nostra famiglia a tensioni e stress emotivi a causa di ridicole "logiche" interne e di giochi di potere di un management di mangia baguette ipocrita ed irriconoscente. Mi fermo qui.

Fatto sta che, a distanza di dieci mesi, tutte le nostre cose, mobili, foto, pentole e mutande sono state nuovamente riposte in circa centocinquanta scatoloni di cartone in attesa di salpare per Tel Aviv, città che ci ospiterà per qualche anno e che si trova in Israele, piccolo e quieto stato del Medio Oriente di cui si sa poco o niente e per nulla rilevante sullo scacchiere internazionale. Ci annoieremo consolandoci, però, con il mare, le spiagge ed un clima che, a mio parere, dovrebbe essere iscritto nel patrimonio Unesco.
Contenta allora di partire ? No, di partire no. Sarò contenta di arrivare, di aprire un ennesimo quaderno di vita con pagine bianche da riempire di nuove esperienze, di conoscenze e di impressioni ma adesso, che sono ancora qui a Shanghai per qualche giorno, c'è solo spazio per la nostalgia di dieci mesi che si stanno trasformando già in un ricordo.
La sensazione è sempre quella che non sia mai successo nulla. Da attrice delle mie giornate in una città che è ormai familiare sono tornata ad esserne spettatrice dalla finestra di quella stanza d'albergo da cui la guardavo disorientata poco tempo fa.

Chi l'avrebbe mai detto. Se uno rileggesse le mie impressioni durante la prima visita, quella famosa discovery trip, penserebbe che sono pazza. Avrei voluto morire. Il cielo grigio topo, quelle super strade infinite di cui una, la Yanan, sarebbe diventata uno dei miei punti di riferimento, la distesa infinita di squallidi palazzi apparentemente disegnati su Minecraft, la trasandatezza e gli sputi, nulla sembrava incoraggiante. Venivo anche con il cuore a pezzi da Nuiok e non da Karachi. Il paragone con la città dove vivevo e avevo sempre sognato di vivere mi faceva venire il latte alle ginocchia, la pelle d'oca, l'eritema, la sciatica. Insomma era sconfortante.

Mi trovavo anche nella fase che ho da sempre più difficoltà a gestire, quella di transizione quando mi sento sospesa fra un posto a cui sto per non appartenere più ed uno a cui non appartengo ancora.
Una volta approdata a Shanghai in una zona comoda e centrale come Xintiandi, punto di partenza ideale per scoprire la città con, da un lato, scorci urbani decisamente più moderni e occidentali e dall'altro, malgrado ancora per poco, un tessuto di vicoli e stradine dove pulsa il cuore autentico della città, mi sono ricreduta. 
Il mio cervello ha riattivato il mode "Asia" e tutti quegli aspetti che Shanghai e Taipei hanno in comune, da alcuni orrori edilizi a certi odori improvvisi e pungenti per strada o nei supermercati, sono stati subito riassimilati senza troppa difficoltà, permettendo invece di concentrarmi su quelli che rendono questa città meravigliosa ed imprevedibile.
L'ho girata in lungo e in largo, in scooter, a piedi, in bicicletta, dal Bund alla Concessione Francese fino ai suoi quartieri più periferici. Ho mangiato benissimo in ristoranti un po' improvvisati dove difficilmente gli occidentali si avventurano e in quelli super chic con viste mozzafiato sui grattacieli di Pudong, mi sono intrufolata nei vecchi lane del centro dove la gente più semplice vive alla giornata fra panni stesi e chiacchiere con i vicini, presidiando vecchie case spesso fatiscenti, destinate prima o poi ad essere divorate dalle ruspe dei developers per fare spazio a nuovi condomini di lusso. 
Mi sono rifatta gli occhi nei mall chic con i pavimenti lustri ed i bei negozi ma le spese le ho fatte nei mercati, dal tessile all'ottica, dove un paio di occhiali di ottima fattura costa un terzo rispetto all'Italia, oppure online su Taobao dove si acquistano direttamente dalle fabbriche prodotti che sono poi rivenduti in Europa o negli Stati Uniti tre volte tanto da marchi occidentali.
Dei Shanghainesi ho amato la gentilezza, il garbo e la tranquillità ma ho sopportato a fatica la mancanza di intuito e di iniziativa per lo più conseguenti ad un tipo di educazione e di indottrinamento che non li allena a pensare con la propria testa. Del resto è la nostra fortuna perché se fossero anche creativi, oltre che disciplinati, precisi ed instancabili, ci avrebbero già mangiato in insalata.
Esistono ovviamente le eccezioni ma, nell'arco di dieci mesi, mi sarò imbattuta in una o forse due al di fuori di Jack Ma, uno dei miei miti, nonché fondatore di Alibaba e Taobao.
Ho comunque avuto la fortuna, ancora una volta, di conoscere tante belle facce nuove. Alcune di queste sono diventate una presenza quotidiana ed importante della mia vita qui a Shanghai. Con loro ho condiviso un periodo breve ma significativo che, nella vita di una expat, equivale ad anni di amicizia sedentaria.
Cambiano le nostre coordinate geografiche ma sicuramente non quello che mi lega a loro che sono riuscite ad inquadrarmi meglio di tante persone che mi conoscono da sempre.

Insomma, la mia vita assomiglia un po' ai Sand mandala tibetani, quelle meravigliose composizioni geometriche di sabbia colorata che, secondo la tradizione buddista, non appena terminate devono essere subito distrutte per sottolineare l'aspetto mutevole dell'esistenza. Oppure, con una metafora meno poetica ma altrettanto efficace, al posteggio in zona rimozione, quando giri per ore, finalmente lo trovi, fai manovra, spegni il motore, prendi la borsa, esci ma vedi il palo con il cartello Divieto di sosta

E così in questi ultimi giorni vago a zonzo per la città, immortalando con la mia macchina fotografica quei luoghi del cuore che, come già molti altri, faranno parte della mia città invisibile, l'unica che non lascerò mai e l'unica a cui, in fondo, mi sento di appartenere veramente.


"but the years passed so quickly I had to search videos and photo albums for proof of our shared life. It happened. It must have. We did all that living. And yet it required evidence, or belief."  
Here I am, Jonathan Safran Foer 




Commenti

  1. Tanti auguri Anna per la vostra nuova pagina di vita. Purtroppo non siamo riuscite a conoscerci, ma ti avrò lo stesso sempre nel cuore e seguirò con piacere le tue nuove avventure, se avrai voglia di condividerle con noi su questo blog!

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  2. Oh cara! Certo che non si può proprio dire che la vita ti riservi parentesi di noia! Ma hai trasmesso così bene la tua faticosa "conquista dell'amore" per la megalopoli che per (troppo?) poco vi ha ospitato che sono certa che l'entusiasmo non ti mancherà neanche nella nuova avventura cosmopolita! Daje tutta:-)

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  3. È un post molto bello e mi arrivano tutti i sentimenti che ti vanno dalla testa al cuore. So che non è facile, ma sono sicura che troverai di nuovo la forza per affrontare tutto. Buona nuova, ennesima, vita! D'altronde questa è anche una delle fortune degli espatriati: avere più di una vita ed infinite possibilità...

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